Last Days of Summer

Last Days of Summer
foto di Marìka Poulain

venerdì 30 maggio 2014

Serenade





-testo di Rumigal
-in copertina "Arrival of the Birds", di ArtaileTecnica: Collage con carta, cartoncino, velina, carta da lucido, filo da cucito, carta da pacco, china.
-Musica di Flop a.K.a. Kali @Menti Fertili





Le strade di questa Città, per alcuni di noi, hanno una peculiarità.
Sono sempre identiche anche se nel resto del mondo scoppiano guerre, carestie, torna il virus Ebola o Angelina Jolie interpreta Maleficent.
Siamo fermi in Piazza, io, Erika e Roberta.
"Ma santo dio, mi spiegate perché cazzo alla fine del film Filippo esce cosi, come una scorreggia?" faccio io, mentre ripenso ai sette euro che alla valuta attuale mi avrebbero fornito circa tre birre e mezzo e che invece ho speso per il film di cui sopra. Forse avrei dovuto dirvi dall'inizio che vi avrei spoilerato "Maleficent".
Roberta, davanti a noi di circa qualche metro è ferma a guardare le persone in Piazza.
"Quanta gente." dice.
Mi volto a guardare. Se mai c'è stata una certezza nella mia esistenza, è che questa Piazza è probabilmente quanto di più vicino ad un olocausto nucleare. E' questo il grado di fermento culturale che associo a questo luogo.
Cosi ci allontaniamo e lasciamo che la Città ci guidi, ognuno con i propri scazzi, con la propria settimana sul groppone. Ognuno con i propri demoni da affrontare, con i propri aneddoti su questo o su quel punto di questo strano luogo.
"Ricordo che andavamo sempre al Muretto", fa Roberta, "ci passavamo ogni giorno della settimana. A volte uscivo pensando magari se vado li ci sarà qualcuno e immancabilmente ci trovavo qualcuno. Era bello. Era tanto tempo fa."
Credo di capirla. Stiamo parlando di avere una certezza presente che garantisca stabilità futura?
Il discorso infatti poi passa alle nostre condizioni attuali. Che come i nostri ricordi legati a questa Città sono simili. Fatti di lavori precari, futuri ancor più precari, e voglia di sognare che sta a zero.
"Ma che cazzo è questa musica?" fa Erika.
Abbiamo appena svoltato l'angolo. Da non si sa dove arriva questo baccano enorme. Iniziamo ad incamminarci verso la fonte e vediamo l'interno di un palazzo.
"Deve essere una serenata" fa Roberta.
"Cazzo si" aggiungo io. Mi volto verso di loro e dico "Ci imbuchiamo?".
Mi guardando sorridendo e dicono Si dai fantastico!
Entriamo nello spiazzo e becco un mio amico, Vincenzo, che appena mi vede mi abbraccia e mi dice di andare a bere qualcosa al ricco buffet organizzato dagli sposi che scopro chiamarsi Riccardo e Francesca.
Cosi iniziamo a bere tutti e tre, io Erika e Roberta, e mangiare tutto ciò che il tavolo offre.
E balliamo. Oh, se balliamo. Balliamo fino a non poterne più, facciamo il trenino che non deve mai mancare ad una festa e i balli latino americani, quelli che sembrano sempre tutti uguali e che ti ritrovi sempre a criticare finché non sei ubriaco e lo stai ballando e a furia di prendere per il culo chi li faceva hai imparato tutti i passi!
E quindi afferri un microfono anzi no è un bicchiere l'ennesimo bicchiere e c'è questo tizio che ti chiede se vuoi il bianco o il rosso e tu gli dici rosso, cazzo rosso quale bianco ed è il quinto bicchiere ed io e Erika ci ritroviamo vicini a parlare di come se non fossimo venuti qui che cazzo avremmo fatto stasera?
E il punto è questo, è proprio questo. Passiamo la vita a pensare quanto la vita sia una merda ma la maggior parte delle volte tra un divertimento e una rottura di palle ci siamo solo noi. Che possiamo decidere da che parte passare la serata.
E stasera l'abbiamo passata qui, alla serenata di Riccardo per Francesca e quando vado ad abbracciare Riccardo è lui che abbraccia me pur non conoscendomi e mi dice Grazie e la cosa mi scalda il cuore più di quanto facciano i sette bicchieri di rosso che mi sono bevuto.
E quando andiamo via e cerchiamo di raggiungere la macchina abbiamo dimenticato Maleficent e pensiamo invece a questo o a quel momento della serata in cui stavamo facendo qualcosa che normalmente non avremmo fatto e indovina un po?
Questa sera ci siamo divertiti.

Goin' Crazy























-testo di Onivvì delle Menti Fertili
-in copertina "Loneliness" di Artaile
-musica di Kenzo de la Vega




Air force ai piedi e cammino sotto la pioggia nella mia Città.
L'unica cosa che penso è "quando finirà tutto questo?"
Il pensare mi affoga, è di troppo ma ci resto sotto.
Ciò che penso sono mille paranoie riferite dell'acronimo che sto creando
E questo mi disturba perché la trovo ovunque.
Se solo potessi andarmene di qui il mio posto si troverebbe a Roma.
Eh già... Ma di "se" si muore soli.
Io cancellerò tutti i se per trasformarli in certezze.
Ma come posso riuscirci? Devo studiare bene la situazione.
Io non mi sono mai fermato avanti a nulla...e di certo non lo farò ora.
Altro che razzismo... Attribuisco i tratti croati a persone mediterranee... Sto diventando pazzo ma va bene così.

giovedì 22 maggio 2014

Waiting



-testo di Onivvi delle Menti Fertili
-in copertina "Nobody is going to save you", di Artaile
-musica di Kenzo de la Vega




Camminavo nei pressi della stazione della Città quando vidi il parcheggio, lì, dove la incontrai per la prima volta dopo averla pregata per settimane di vederci.
"Alle 21:00 alla stazione."
Si presentò alle 21:30 scese dalla sua auto, era bellissima, capelli ricci, occhi grandi e alta circa un metro e ottanta.
Mi fece accomodare nella sua auto lussuosa, il suo profumo inebriava il mio senso olfattivo al punto da non capirci più niente.
Parlammo per ore, la feci sorridere una volta, da li capì che non potevo far almeno del suo sorriso e dei suol occhi che mi mangiavano a piccoli bocconi.
Era tardi, circa l'una, quando decisi di baciarla.
Mentre mi avvicinavo lei diceva "no no no" ma le nostre labbra ebbero contatto... Una volta, due volte, tre
Finché ci dedicammo a un bacio più appassionato...
Amo i suoi "no" così bugiardi... Pieni di voglia di avermi... L'abbracciai forte a me, non volevo lasciarla andare.
La stringevo come se volessi entrare nel suo cuore per rubarlo.
L'amavo già al dal nostro primo appuntamento.
Cosa che lei non vuole ancora capire.

giovedì 17 aprile 2014

"Le cose che vediamo"


-One Fine Day-

-testo di Rumigal
-"Mind the Gap", Alice in the Cruel Sea



La custodia con dentro il sax se ne sta sotto il letto, invisibile. Ma Morgan lo sa che è li. Non lo suona da parecchio.
Immaginiamo sempre che sia facile riporre alcune cose sotto un letto. Ciò che non vedi non può diventare importante.
Si alza e prende una birra da dentro il frigo. Jack gli ha mandato un messaggio poco fa, dicendo che stasera al Groove suonano gli "Alice in the Cruel Sea". Li ha già sentiti qualche tempo fa. Potrebbe essere la musica adatta per questa serata.




Va verso la finestra della sua camera. Guarda la Città che sotto di lui scorre velocemente nei passi delle persone indaffarate, nelle macchine che si muovono e che da quell'altezza sembrano le micro-machine con cui giocava quando era bambino.
Il campanello suona.
Apre la porta
"Ciao, Morgan", fa Emily, la signora dell'appartamento accanto al suo. Morgan osserva i suoi lunghi capelli bianchi e lisci, stretti in una lunga treccia, la pelle ancora molto liscia per la sua età.
"Ho fatto la pasta al forno che ti piace tanto. Ti va di venire a pranzo da noi?"
"Emily, sai bene che non rifiuto mai un tuo invito."

Poggia la tazza di thè sul tavolo di legno, posto in mezzo ad un salotto che ogni volta fa sorridere Morgan.
Puoi leggere una storia, li dentro. Una storia fatta di viaggi e che parla del mondo intero.
Emily e suo marito infatti hanno viaggiato ovunque. Non c'è posto di questo mondo dove non siano stati, e ogni volta si sono portati dietro qualcosa.
Morgan pensa sempre che da vecchio, guardandosi indietro, spera di poter vedere qualcosa del genere. Un passato di cui essere orgoglioso e che lo renda felice.
Emily sorride sempre. Seduta con le ginocchia sul puffo verde smeraldo che ben si sposa con il marrone scuro del legno, gli occhi leggermente socchiusi. Morgan la guarda e avverte la strana sensazione di pace che questa donna è capace di emanare.
"Arthur è andato a fare un giro, cosi da comprare anche l'acqua. Siamo rimasti senza acqua in casa e non ce ne siamo neanche accorti!", fa lei.
La grossa finestra che si affaccia sulla strada è colma di fiori. Colori resi ancor più vivi dalla luce del sole che li colpisce.
Dopo qualche minuto, sentono la porta aprirsi. Morgan si volta, e vede Arthur. Alto, anche lui con dei capelli bianchi che sembrano nuvole. Pizzetto e baffi ben curati, magro. E anche lui che emana quella strana sensazione di pace in grado di calmarti all'istante.
"Ah, sapevo che ti avrei trovato qui, Morgan! Guarda cosa ti ho comprato!".
Tira fuori una bottiglia di whisky "Black Crow". 
"Aaah, ma andiamo! Avresti potuto comprare un whisky decente!", dice Emily alzandosi e andando verso la cucina.
"Donna, tu non capisci! Le tradizioni sono importanti! Vero, Morgan?"
Quando qualche anno fa si erano trasferiti qui, e ancora non conoscevano nessuno nel palazzo, Morgan fu il primo con cui iniziarono a scambiare qualche parola. Essendo vicini di casa, era inevitabile che finissero per incontrarsi sul pianerottolo, e salutarsi. Cosi, una sera che Emily era uscita per andare a teatro, quando ancora c'era un teatro in Città, Arthur aveva bussato alla porta di Morgan e lo aveva invitato a cena. Quando Emily era tornata, diverse ore dopo, li aveva trovati stesi entrambi sul divano a ridere, ubriachi, e con un forte odore di erba che riempiva la casa. E a terra, accanto a loro, una bottiglia ormai vuota di "Black Crow".
"Assolutamente si!", gli risponde lui, alzandosi e abbracciandolo.

Morgan ha una vera e propria venerazione per la cucina di Emily. Sarà che avendo vissuto ovunque, ogni suo piatto è pieno delle influenze di terre lontane e almeno in questo caso, Morgan pensa che in fondo le tradizioni non siano importanti, se mescolandole escono fuori pietanze come questa.
"Sei già stato alla Galleria, da quando ha riaperto?" fa Arthur, mentre beve un bicchiere di vino.
"Si, ci sono stato l'altro giorno con Miki. Hanno fatto davvero un buon lavoro. Che poi io non ci ero neanche mai stato, prima che chiudesse per i lavori."
"A me non piace molto. Troppo bianco in quel posto." fa lui, riferendosi alle tonalità bianche che riempiono ogni centimetro della "Galerie des Nuits Blanches", escluso le tonalità azzurre che alleggeriscono il tutto, in alcuni punti.
"Ma sai bene che Madame de la Croix non avrebbe mai permesso un'altra combinazione. Se provassero a cambiare qualcosa, sarebbe capace di tornare in vita per far ritinteggiare le pareti." fa Emily ridendo. In effetti lei il vino lo regge molto meno che Arthur. Le bastano pochi bicchieri per diventare rossa come un pomodoro.
"I morti non comandano."
"Oh, Madame de la Croix si."
Emily si alza e va in cucina, lasciando "i due maschi di casa", come li chiama lei, da soli. Arthur si accende una sigaretta e ne offre una a Morgan.
Rimane un po in silenzio, il suo sguardo che vaga lontano, sorride a qualcosa, un ricordo forse.
"Che mi dici, Morgan? Raccontami qualcosa."
"Non ho molto da dire. Non succede granché da queste parti ultimamente."
"Ah, che dici! Sei giovane, dovresti sempre avere qualcosa da fare."
"E cosa? Alla fine per quanto grande, questa Città sembra immersa uno strano torpore. E tutti quelli che conosco non hanno mai voglia di fare niente."
"Beh, se tutti ragionate cosi, ci credo che questa Città sia cosi morta, sai? Basterebbe che qualcuno si inventasse qualcosa per passare il tempo, in fondo. E poi davvero, non sottovalutare il fatto che sei giovane."
Ma il problema è che Morgan è giovane solamente in rapporto ad Arthur. In rapporto a se stesso, Morgan sembra non avere un'età ben definita.
Si è reso conto di questo qualche settimana fa. Per un motivo stupido in realtà, ma che lo ha fatto pensare. Aveva trovato un paio di scarpe di suo padre, in un vecchio scatolone. Aveva provato ad indossarle e gli erano piaciute.
Però non aveva avuto il coraggio di andarci in giro. Guardandosi allo specchio aveva avuto problemi a riconoscersi. L'immagine di se non era più quella che aveva in mente. Guardava il Morgan allo specchio, e sembrava un bambino che gioca a fare l'adulto, che indossa scarpe da adulto.
"Tu a 25 anni dov'eri, Arthur?"
"Io? Ah!" fa lui, accarezzandosi il pizzetto.
Emily torna dalla cucina, preceduta dal profumo di mela e zucchero. "Guarda cosa ti ho preparato, Morgan!", dice sorridendo. Sul vassoio c'è una Tarte Tatin, il dolce preferito da Morgan.
"Oh, Emily. Se solo fossi più giovane!"
"Ah ah, per me l'età non è un problema, eh!" risponde lei.
"Emily, dov'eravamo io e te, a 25 anni?" chiede Arthur, sorridendo.
"Oh, mi avevi già mollata, a 25 anni. Non so dove fossi tu. Io ero qui. Ad occuparmi di mia madre."
"Ah, si! Io invece ero... ero in Germania!"
Morgan prende un pezzo della Tarte Tatin, e la inonda di gelato alla vaniglia, che si scioglie immediatamente al contatto con il calore delle mele e dello zucchero.
"Si, ero in Germania, mi ero trasferito li per lavorare nella fabbrica di mio zio, sarei dovuto restare due mesi e alla fine ci rimasi per quasi un anno. Era bello, stare li, sai, Morgan? Ero già stato all'estero, avevo già passato qualche mese fuori casa. Ma si trattava sempre di cose relative all'università. Quella invece fu la prima volta in cui ero davvero fuori casa, sai? Ero da solo, era come trovarsi sul ciglio di un burrone senza protezione. Sbagliare a quel punto voleva dire cadere. Ed è questo che dovrebbero fare i giovani, dovrebbero farlo tutti."
"Non cadere?"
"Ah ah, si. Non cadere. Ti sembrerà una stupidata, ma non scherzo. Quando prendi le decisioni, se hai qualcosa a cui aggrapparti, qualcosa che anzi possa attutire l'eventuale caduta, ti senti protetto. Ed è un bene, per carità. Ma quelle decisioni non ti insegnano nulla. Quando invece affronti la vita da solo, senza avere nessuno da ringraziare o da incolpare, beh, quelle sono le vere decisioni che portano cambiamenti. Diventi forte, ti formi. Ed è l'unico modo che conosco perché si possa vivere una vita che si possa definire propria."
Morgan finisce di mangiare il suo dolce senza rispondere. Non avrebbe niente da rispondere, dopotutto. Perché lui era d'accordo, era assolutamente d'accordo. La cosa che avrebbe tanto voluto dire ad Arthur, che avrebbe voluto dire a tutti quelli che gli parlavano di queste cose, era che il suo problema non era la decisione. Era il non avere una meta.
Ne parla spesso soprattutto con Jhonny di questo. Quando provano a guardare davanti, quando stanno di fronte alla Strada che non porta a nulla. Quando provano a pensare al futuro. Non vedono niente.
"Emily, ti giuro che questa è la miglior Tarte Tatin della storia." fa lui, prendendone un altro pezzo.
"Puoi dirlo forte!"




martedì 15 aprile 2014

/At the Groove/ - La Spirale



-One Fine Day-

-testo di Rumigal
-Illustrazione di Sabrina H. Dan
-Musica degli "Alice in the Cruel Sea"




"Ohi, Jhonny! Ma è vero che hai smesso di bere?" fa la barista del Groove quando li vede al bancone, Morgan e Jhonny.
"Già. Ho chiuso con l'alcol."
"Naaa, non ci credo neanche morta!" fa lei ridendo e servendogli il succo all'ananas.
"Dai, è imbarazzante." fa Morgan, con il suo Negroni in mano.
"Non rompetemi le palle, dio santo."
Si alzano e vanno a sedersi sulla destra, rispetto al palco. Stasera suonano gli "Alice in the Cruel Sea" un gruppo che piace molto a Miki. Però lei non c'è.
"Ma gli altri? Non vengono? Non ho neanche sentito nessuno, pensavo di trovare tutti qui." fa Morgan, guardandosi attorno.
"Non ne ho idea. Jack ha detto che sarebbe passato più tardi, mentre Miki non l'ho sentita neanche io, ma immagino arriverà anche lei."
Il locale piano piano inizia a riempirsi e le bottiglie e i bicchieri a svuotarsi. Jack in effetti arriva, ma va dritto dalla barista, di cui è innamorato pazzo da quando l'ha vista la prima volta. Lo guardano e ridono, pensando a quale battuta idiota starà facendo per attirare la sua attenzione.
"Ma non ha ancora capito che non gliela darà mai?" fa Jhonny.
"Jack punta sempre in alto, lo sai. E scommetto una cassa di Menabrea che prima o poi riuscirà a scoparsela" fa Morgan.
Jhonny ci pensa un attimo.
"Ok". Tende il bicchiere col succo di ananas, per suggellare il patto.
"Santo dio, che vergogna", fa Morgan, toccandolo col suo.

"Yo!" grida Lobo, col suo vocione che fa girare tutti nel locale. "Ancora non hanno iniziato a suonare?"
"No, ma credo manchi poco." fa Morgan, allungando una sedia.
Lobo si siede, le gambe divaricate che sembra una sorta di imperatore.
"Cristo, che settimana, ragazzi. Non ne avete idea!"
"Ehy, dude, vuoi una birra?"
Si voltano tutti verso Ray, il leader dei Sick'n'Beautiful, il gruppo dove suona anche Lobo.
"Si, grazie!"
"Ma quindi? Che ti è successo?" fa Jhonny.
"Troppo, vi giuro. Troppo. Sapete, quando magari incontrate uno stronzo... va bene. Uno sopporta. Poi ti compri un PC nuovo e si rompe la scheda video dopo neanche dieci minuti che l'hai acceso. Va beh, capita. La gatta inizia a cacarti dentro casa senza alcuna ragione? Ok, sono animali.
Ma Cristo di un dio, è quando comincia a capitarti tutto assieme che ti viene solo da bestemmiare tutti i santi del creato e iniziare a menare gente random, per la miseria."
"Ah ah, assurdo. Ma invece il vostro album? Quando esce?"
Lobo si volta verso Morgan. Lo fulmina con lo sguardo.
"Sei mesi fa. Per Dio, sarebbe dovuto uscire sei mesi fa."
E poi non dice altro.
La quantità di sfiga che i Sick sono riusciti a superare nel corso degli ultimi mesi è stata tremenda. Pc rotti, hard-disk che si fondevano, internet che spariva dalla saletta quando dovevano trasferire alcuni dati. E' un miracolo se nessuno della band abbia deciso di dare fuoco a qualcuno per invocare i favori del demonio.
"Non voglio sapere più niente, vi giuro. Non ho idea di quando uscirà il nostro album, e per qualche giorno non voglio saperne un cazzo di niente e nessuno. Chiaro?"
"Chiaro!" gli rispondono in coro Morgan e Jhonny. E poco dopo, gli "Alice in the Cruel Sea" salgono sul palco, e iniziano a suonare.



Nel locale scende il silenzio e tutti se ne stanno in ascolto delle dolci note pizzicate.
Morgan si guarda attorno. Fa un cenno con la testa a qualcuno che in realtà non ricorda neanche chi è.
La voce di Sara, la cantante, avvolge l'intero locale, come fosse un manto con cui coprirsi perché fuori fa troppo freddo, fuori da questa dimensione dove gli "Alice in the Cruel Sea" ti conducono  con le loro note.
"Ditemi quello che vi pare," fa Morgan, "ma quando in un gruppo c'è una ragazza con un'arpa, per me ha già vinto tutto."
"A te basta che ti ricordino Joanna Newsom e sei felice" gli fa Jhonny ridendo.
Lobo, con lo sguardo rilassato, segno che ha smesso di pensare alla settimana di merda che ha avuto. Lobo è una di quelle persone capace di godere della vita senza il fardello della preoccupazione. Per certi versi, sembra uscito da un cartone animato, e il fatto che indossi dei finti dread verdi fosforescenti non aiuta di certo a prenderlo sul serio. Sa ridere delle proprie disgrazie cosi come sa ridere delle disgrazie altrui, e nessuno ricorda di averlo mai visto incazzato per qualcosa. A parte quella volta che una vecchia iniziò ad insultarlo per strada perché diceva lui e alcuni suoi amici occupavano tutto il marciapiede. Quando lei lo mandò a fanculo per la terza volta, lui si voltò verso di lei e le gridò: "Ma va a viaggià!"
Questa è stata l'unica volta in cui qualcuno abbia mai visto Lobo incazzato.
Cosi, adesso, con lo sguardo rilassato, sussurra, "Ma voi mi spiegate come fa la gente a stare incazzata, ad essere depressa, quando c'è roba come questa?"
Probabilmente il suo segreto è questo. Riuscire a guardare le cose in maniera diversa da tutti. Non ciò che manca, ma ciò che c'è, che è qui, adesso.
Ad un tratto, dalla voce di Sara, sul palco, giungono queste parole.
"Talkin' about eternity scares me"
Morgan ripensa allora alla discussione avuta con Arthur, a pranzo. Alle infinite chiacchierate con Jhonny, magari seduti alla fine della Strada che non porta a nulla, con la sola compagnia di qualche bottiglia di troppo, quando ancora lui beveva. Per certi versi, sembrano passati millenni, per certi altri sembra invece che sia accaduto tutto pochi secondi fa.
Finisce il suo Negroni e si alza, per andare a prendere qualcos'altro al bancone. Jack è seduto da solo, la barista che se ne sta accanto alla cassa, a messaggiare.
"Ohi Morgan."
Morgan lo guarda, poi guarda la barista. "Farai meglio a impegnarti per scopartela, sono stato chiaro?"
Jack sorride e solleva leggermente la sua birra.
"Che hai fatto oggi?"
"Sono stato ad un colloquio di lavoro, per un negozio al centro commerciale" fa Jack.
"Dal tono direi che è andato male."
"Diresti bene. Mi hanno detto che 'mi faranno sapere'."
"Dovresti andare a lavorare anche tu al GameSource, come Nadia. Porta il curriculum, no?"
"Naaa, se posso evitare di andare in quell'inferno, sono contento. L'altro giorno siamo usciti, Nadia mi ha raccontato un po delle cose che gli capitano. Assurdo, davvero. Roba da tirare badilate in faccia ai clienti."
"Ah ah si, ha raccontato qualcosa anche a me. Dovrei chiamarla, tra l'altro, non la sento da un po."
"Ma come va con lei? Ti viene ancora dietro?"
Morgan e Nadia erano stati assieme per un po, circa un anno, quando erano al liceo. Poi Morgan aveva deciso che non voleva più stare con lei, e l'aveva lasciata. Ma erano rimasti amici. Questa ovviamente è la versione semplice.
La verità è che Nadia non aveva mai smesso di sperare di tornare con Morgan. Era stata con altri ragazzi dopo, ma sapevano tutti che sarebbe bastato uno schiocco di dita da parte sua, per farla tornare strisciando.
Jack gli ripete sempre di approfittarne. "Potresti scopartela a comando e ti sarebbe anche grata. E se anche ci restasse male, poi lo supererebbe. Mica la devi uccidere in fondo."
Però Morgan non ha mai voluto saperne.
"Immagino di si."
"Sai cosa ti consiglio di fare allora."
Morgan sorride. "Pensa a scoparti la barista, che altrimenti mi devi una cassa di birra."
"Che cassa di birra?"

Jhonny si guarda attorno. Miki non si è vista.
Ultimamente loro due parlano parecchio di questa Città e di cosa dovrà succedere nei prossimi anni. Hanno entrambi deciso che qualunque cosa succederà o non succederà, dovranno andarsene. Aspettare che le cose cambino da sole infatti non è più possibile. In alcuni momenti, Jhonny e Miki hanno la sensazione di trovarsi accanto ad una linea, la linea che separa il subire la vita o riuscire a domarla. Il problema è che a seconda dei giorni e dell'umore, è difficile capire da che parte della linea si trovino.
Molte delle persone intorno a loro stanno cambiando, vanno avanti con le loro vite. Persino il Volgare, per quanto assurdo possa sembrare, sta iniziando a cambiare qualcosa. Loro invece hanno questa strana sensazione di essere bloccati sulle soglie di un deserto.
Qualche sera fa, Miki ha detto che gli capita di ripensare a Louis, il suo ex.
"A volte mi viene voglia di chiamarlo, e tornare con lui. Poi non lo faccio, né credo lo farò mai. E' una storia chiusa in fondo. Credo sia l'idea di trovarsi davanti a tutto ciò che ci aspetta e non sapere cosa sia. Se andasse peggio di cosi? A quel punto, sarebbe stato meglio restare con lui, godermi quel briciolo di sicurezza che potevo trovare. L'unica cosa che cerchiamo tutti sono delle certezze, se scavi a fondo."
Ma Jhonny invece non lo pensa. Non è una certezza quello che cerca. Perché diamine, cosa c'è di più certo di questa Città? Passare tutti i giorni che ti restano sapendo che non succederà nulla di grosso, e le tue aspettative diventeranno sempre più piccole come i tuoi sogni. Finché la tua vita sarà insignificante cosi come l'idea che hai del mondo che ti circonda. Una spirale. Questo è ciò che Jhonny vede davanti a se, quando è notte, quando è da solo e pensa. Una spirale al cui centro c'è una famiglia felice e un contratto a tempo indeterminato.
"Ehy Jhonny!"
Si volta verso la voce di Morgan.
"Qui hanno finito. Pensavo di fare un salto alla fine della Strada. Jack ha un po di fumo."
"Si, perché no?"
"Solo che devi guidare tu, che i due Negroni si fanno sentire."
"Ah, il solito sfruttamento di chi non beve più."



martedì 25 marzo 2014

Le strade



-testo di Rumigal
-foto di Hold It!

Pagina Facebook di Hold it!


 Dopotutto, alcune strade sono fatte per essere percorse da soli. Sai, ogni passo è importante. Ogni sguardo lungo il sentiero, ogni respiro che non va sprecato. Parliamo di solitudini quando dovremmo parlare di esistenze.
Ricordo che una volta mi parlarono della grandezza del mondo come di una cosa di cui aver paura. Ma è una cosa di cui hanno paura solamente i deboli, i vigliacchi. Adesso guardo alla strada che ho davanti con rispetto. Con desiderio. Non ne ho più paura.
Allora cammino. Un passo alla volta. Pensate che io sappia dove sto andando. Ma non è cosi. Credevo di essere bravo a notare i particolari, ma invece ho scoperto che ciò che vedo sempre è il quadro generale.
Su quel giornale lessi questa frase, che faceva più o meno cosi.
"La libertà è poter prendere il mare senza avere nessuno che ti aspetti al ritorno, ne un luogo o qualcuno dove arrivare."
Ecco, sta tutto qui.
Questa è una cosa che non te la scegli. Sarebbe come chiedersi se esiste un destino in realtà.
Ma l'importante è non dimenticare mai e poi mai tutti i passi compiuti assieme. Ogni sguardo e ogni respiro. Sono tutti qui. Con me.
Siamo solo storie, alla fine, e questa è stata importante, e lo sarà sempre.
Il mondo è cosi grande che è impensabile credere di perdersi.


domenica 23 marzo 2014

Io scrivevo sempre in treno


-Testo di Rumigal
-Foto di Marìka Moretti



"I viaggi sono fatti per pensare. Forse è per questo che scrivevi sempre in treno." fa una ragazza qualche sedile più in la. Il treno sta per partire. Sul binario accanto al nostro c'è un grossa sacco dell'immondizia bucato.
La fotografia di questa scena è grigia, dona un'aria immobile al tutto, nonostante sia una stazione.
Appoggiato allo schienale, guardi con fare indifferente fuori dal finestrino. Il treno dovrebbe partire a breve, almeno credo.
E mi porterà a lavoro.
In quel cazzo di negozio di scarpe. Santo dio, ma perché ho accettato?
400 euro al mese per fare un lavoro di merda, di cui 100 se ne vanno per un abbonamento che mi permetta di prendere pessimi mezzi di trasporto. E poi devi mangiare. E devi bere. Che neanche ti bastano. Ah si, vero, almeno faccio curriculum. Per ottenere altri lavori di merda quando avrò perso questo, dove forse mi pagheranno un po di più. O più probabilmente di meno.
"Ricordo che quando viaggiavo scrivevo sempre. Poi ho smesso di viaggiare e ho iniziato a scrivere in altri modi. Il fatto è questo. Adottare il giusto punto di vista sulle cose. Se lo scopo è scrivere, puoi scrivere ovunque. Le cose sono sempre più semplici di quanto non le facciano apparire gli altri", fa la voce di un ragazzo.
Ma facile di cosa? Niente è mai facile a questo mondo. E la cosa tremenda è che si finisce per impegnarsi in cose di cui non ti frega nulla perché devi mangiare. La vita non è un romanzo in cui i personaggi non mangiano e non cagano mai e se lo fanno c'è un significato propedeutico all'avanzamento della trama o allegorico. No. Qui mangi per vivere cosi come quando caghi, senza che niente sia davvero importante. Quindi no, non è facile per niente.
"Si che lo è." fa il ragazzo alzandosi e venendo verso di me.
"Tranquillo.", mi fa, "non spaventarti. So che ti sembra strano, ma la verità è che il tono con cui hai detto le ultime cose è fin troppo esasperato. E sai perché?"
Lo guardo senza capire se è solo pazzo o cosa.
"Dai, dovresti averlo capito. Tu sei solo un personaggio nella mia testa. Come ogni cosa che vedi qui."
Si siede davanti a me. Ha un maglioncino grigio, semplice.
Sul finestrino c'è un insetto. C'era anche prima ma non lo avevo notato. Continua ad arrampicarsi per tutta la sua altezza. E quando arriva in cima, cade.
E' ovvio.
"Vuole uscire."
Continua a salire e sbattere sul vetro e ne percepisco tutta la brama di libertà.
"E' solo un insetto però. Si può parlare di brama? E' qualcosa che ha a che fare con la volontà dopotutto. E noi non siamo abituati a pensare alla volontà degli insetti. Che poi in fondo si tratta più di istinto che volontà in questo caso.
E quello stupido, minuscolo insetto continuerà a sbattere contro il vetro, fino a morire. Invece, te oltre all'istinto hai anche il dono della volontà, la stessa volontà che ha permesso all'umanità di plasmare un mondo intero a propria immagine e somiglianza."
Ma hai detto che sono uno dei tuoi personaggi. Quindi qui in realtà si sta parlando di te.
"Certo che si. In realtà io sto guardando questo stesso insetto su un altro treno, un treno vero. E ho intenzione di prenderlo e farlo uscire dal treno. L'altro. Quello vero."
E cosa vuoi da me?
"Niente. Solo dare importanza ad un piccolo insetto su un treno."

martedì 18 marzo 2014

-La strada dai Lampioni rotti-


         








    -Testo di Rumigal
                                                       
      -Tutte le foto sono di Marìka Poulain-
                                                             
       -Musica di Kenzo de la Vega



Nessuno in giro, a quest'ora, lungo la strada dai lampioni rotti. Andy ricomincia a camminare,
sorridendo, ancora affannato per essere arrivato sin li correndo come un pazzo, tra gli sguardi
incuriositi della gente, ma a lui non interessa più niente ormai, sa cosa deve fare.

Ricomincia a camminare, dopo aver ripreso un po di fiato,
 e il primo lampione si riaccende appena si muove. Non aveva mai capito perché quello stupido lampione si accendesse e spegnesse al
passaggio della gente, come fosse una sorta di segnale che qualcuno era li, e continua, sorridendo,
guardando davanti a se e vede quella strada riempirsi di immagini, di ricordi, come fosse un grande
palcoscenico.

Corre accanto al sorriso di Carrie sporco di gelato, sulla panchina dove si sedevano per guardare le
vetrine dei negozi e la gente passeggiare...Passa davanti a loro due che danzano al suono della
chitarra di un musicista di strada ed Andy, correndo, non si accorge della stanchezza che inizia a
raggiungerlo, le prime rughe che spuntano mentre ripensa a come tutto si sia rovinato cosi in fretta,
per un banale litigio, nonostante avessero giurato di amarsi in eterno.
Scaccia quei pensieri orrendi per qualche secondo, giusto il tempo di vedere nel cielo i fuochi
d'artificio nel cielo di quel giorno, quando andarono a vedere il Capodanno cinese in Piazza del
Popolo e si erano stancati, perché non finivano più, li guardavano esplodere tra le prime stelle della
sera. Ricorda la sera in cui era andato via, stanco di chissà cosa poi.
C'erano cosi tante cose che lo facevano arrabbiare, a quel tempo. E la cosa strana è che ci aveva
messo anni, per capire che nulla importava davvero.



La rabbia lo aveva dominato cosi a lungo che
aveva finito col perdere tutto. Aveva abbandonato sua madre colpevole di non averlo amato come
lui pensava di meritare. Aveva perso il suo lavoro. E aveva perso gli amici.
Corre per tornare da lei, lungo quel viale pieno di ricordi, mentre i suoi capelli si fanno bianchi,
come la neve che non arrivava mai in Città, e poi cadono, la stanchezza che aumenta mentre si
avvicina e pensa a come sia triste, in questa vita, sprecare cosi tanto tempo.
Perdere anche solo un giorno perché si è stupidi, perché si va di fretta e non si ha tempo di pensare,
o forse molto semplicemente non si vuole farlo, perché ti renderesti conto di quanti siano i tuoi
sbagli.
Andy corre sotto i lampioni che alternano luce e buio, e scaccia una lacrima, al ricordo di lei che
piange, e poi se ne va, trovando la sua felicità con qualcun altro.
Le cose vanno talmente in fretta, in questo mondo, ed ora che sta per arrivare da lei sente la sua
pelle ritirarsi, le sue ossa iniziano a far male, e rallenta un po' il passo, giusto un po, giusto quel
poco per permettere ad un vecchio come lui di prendere un po' di fiato.
Guarda davanti a se, sembra tutto cosi strano.
Riprende il cammino, e non ha la più pallida idea di cosa le dirà. Forse basterà, ammettere di aver
sbagliato? Sarà abbastanza?
Ma poi sente il suo cuore accelerare, mentre il suo passo rallenta. Si ferma, e guarda lontano, la
strada sembra cosi lunga, e lui ormai è diventato cosi vecchio.
Cade sulle ginocchia, si porta una mano al petto. Sta morendo, pensa, con un ghigno agrodolce nel
volto, scavato dal tempo.
Si è mosso troppo tardi. Ci si muove sempre troppo tardi. Ha sempre pensato che in punto di morte
si veda, o percepisca qualcosa. Che ci sia un Dio, o la Morte con la sua falce.
Invece, sembra non ci sia niente, alla fine.

Stelle



di Philgrim

Sono le 4 e la festa è finita, tocca tornarsene a casa. E' una notte come tante eppure nell'aria qualcosa è cambiato. Il nuovo anno ha portato nuova linfa. Alla radio passano "Asleep" degli Smiths, come se qualcuno sapesse esattamente di cosa ha bisogno Philgrim mentre la sua auto è l'unica cosa a muoversi nella Città.
La nebbia, immancabile compagna di questa valle, avvolge tutto con la sua patina.
Tutto è ovattato. I lampioni appaiono e svaniscono dopo pochi metri, i suoni esterni sembrano così distanti, indistinti. Pare di trovarsi su un altro mondo. Una realtà aliena, una di quelle robe che Phil ha sempre sognato da bambino. Un non luogo dove poter sognare di trovarsi altrove. Gli incroci si susseguono, identici, uno dopo l'altro. Il deserto. Nessuno è in giro e solo così questa Città sembra davvero appartenergli, riempiendosi delle immagini della sua mente, dei suoi ricordi.
Le persone incontrate, soprattutto quelle perdute, affollano i marciapiedi della sua vita. Un dettaglio lo coglie impreparato e lo sorprende.
Il semaforo è rosso.
Come può? Non dovrebbe esser inattivo a quest'ora? L'auto si ferma, scendono i giri del motore e Phil ha l'occasione per guardarsi in giro con più calma, di sentire davvero il momento presente. A sinistra la strada lo porterà a casa, nella quale non rimette piede da almeno una settimana. A destra si va verso il monte sulla cui cima sta l'antica abbazia. E' in un attimo che tutto avviene, stravolge i suoi piani per questa notte. Casa potrà attendere ancora per qualche ora.
Svolta a destra ed inizia a salire il monte diretto alla panoramica. Deserto anche qui.
Possibile lui sia l'unico ad aver bisogno di pace in una Città del genere?
Difficile crederci, ma è meglio così.
Più spazio per tutti i suoi sé. Per un po' resta in macchina, al caldo, a fissare gli oscuri contorni delle montagne sull'orizzonte. Della Città non c'è traccia, sepolta sotto una coperta di nebbia.
Lo spettacolo è surreale, ma in qualche modo rispecchia proprio lo stato d'animo in cui Philgrim si trova.C'è una quotidianità ormai stantia, così uguale a se stessa da risultare opaca e piatta proprio come questa nebbia dove vive. Poi le montagne, lontane, quasi indistinte nell'oscurità: i sogni di un ragazzo che ha dovuto piegare la testa alle necessità della vita, per poter andare avanti e non perdersi, ed ora non riesce più a distinguere chiaramente il sentiero sul quale si trova.Sopra tutto questo le stelle, limpide e fredde, tanto lontane quanto pungenti. I sogni di un bambino che non accetta la sconfitta e che continua a desiderare ardentemente come se non potesse altrimenti vivere. Forse la vita è un gioco a perdere, ma senza emozioni, senza la forza motrice dei sogni è come se tu non stessi neppure partecipando.
Come ha fatto Phil a finire così lontano da quello che era qualche anno fa? Qual è stato il primo masso a cedere e provocare la frana che l'ha sepolto? Troppi pensieri per una sola testa ed un solo cuore, ma la solitudine gli ha insegnato che questi due sono gli unici compagni di viaggio che non lo abbandoneranno mai.Improvvisamente una nota storta lo riporta indietro nel presente.Come può una radio che si definisce rock passare questa roba? Quanto diamine di potere hanno i soldi in questa società, rispetto a ciò che davvero conta?Infastidito Phil spegne tutto ed esce dall'auto.Il freddo lo colpisce al viso come lo schiaffo della persona amata. Fa male, ma non è crudele; è anzi necessario.Ci voleva. A lui piace il freddo.
Molti suoi amici non lo capiscono.
“E' una questione di percezione” è la risposta che gli piace dare. Così non è costretto a mentire, ma può benissimo tenersi la sua parte di verità tutta per sé.
“Immagina di stare in un posto caldo e vedrai che non sentirai più il freddo”.
Probabilmente è questa la percezione che intendono i suoi amici; niente di più lontano dalla sua realtà.
Percepire non è una questione di testa, ma di cuore. Rifugiarsi dentro se stessi per cercare quel calore di cui si ha bisogno. I ricordi e le speranze sono il fuoco più ardente a cui Phil possa attingere e lui lo fa in continuazione. Il pizzico del freddo gli ricorda che è ancora vivo, che c'è ancora molto da fare prima di arrendersi. Il calore interno gli dà la forza di resistere.
Nel frattempo impara a bastarsi. Gli piace molto quest'espressione, la sente sua. Era stata Benny a dirlo, una tipa conosciuta da poco, ma è come se conoscesse il significato di quelle parole da sempre. Ha preso coscienza di bastarsi da diverso tempo, pur mantenendo inalterata la ricerca di qualcuna che possa comprendere i suoi sguardi senza bisogno di parole.Una situazione di equilibrio precario; uno di quei labirinti in cui se smetti di muoverti poi ti sarà impossibile ricominciare.
Così, nel freddo della notte, si stende sul cofano perdendosi fra le sue stelle.

-Adolescenza-





-testo di Rumigal-
-Musica di Kenzo de la Vega-


Jake entra nella pizzeria, come tutti i lunedì.
Martine lo saluta col suo solito, splendido sorriso.
Ci sono pochissime persone. La radio è accesa.
Jake si siede, dopo aver preso un pezzo di margherita e una coca.
Jake è innamorato di Martine.
 Ma non una semplice cotta, no no, è amore puro, estremo.

Lei è una ragazza semplicemente meravigliosa. Ha dei capelli neri, corti, con una taglio strano, sempre denti bianchissimi anche quando ha appena mangiato. Per non parlare poi del modo che ha di sorridere, chiudendo leggermente gli occhi, dischiudendo quella bocca fantastica.
Ma la cosa che ha fatto davvero perdere la testa a Jake, è stato il suo essere così spigliata, solare. Scherza e ride sempre con lui, lo aveva fatto la prima volta, si era seduta al suo tavolo perché non c'era nessun altro nel locale ed aveva attaccato bottone, così, dal nulla.
E per Jake era così strano, perché tutte le persone che lui conosceva erano dei castrati del cazzo, incapaci di divertirsi genuinamente, o di essere tranquilli.

“Ma perché non ridete di più! Perché non andate in strada a ballare e fare casino tutta la notte!Ridete gente!”

                                                       Avrebbe voluto dirlo a tutti.

Ma non c'era verso che loro capissero, tutti chiusi nelle loro piccole e miserabili vite.
Invece Martine era diversa, era unica.
Quando parlava, qualunque cosa dicesse, era come ascoltare “First days of Spring” dei Noah and the Whale, ti veniva voglia di ascoltarla per ore e ore, iniziava piano, con il raccontarti di quello che aveva mangiato a pranzo e finiva con un esplosione di musica e racconti divertentissimi!
Dei suoi viaggi, dei suoi momenti di vita quotidiana e che a sentirli dalla sua bocca sembravano essere sempre incredibili.
“Ah ah, l'altra sera ero al bar con un amico e mentre stavamo bevendo una birra un tizio è arrivato e si è messo a sedere con noi e ci chiedeva se qui in Città c'era qualcosa da fare oltre a morire e ci ha detto di chiamarsi Diego, solo che io lo chiamavo Dario senza motivo e sono arrivate due sue amiche che sentendomi chiamarlo così pensavano di aver dimenticato il suo nome e siamo andati avanti così per parecchio, tipo tutta la sera a bere e fare i cretini e scambiarci i nomi. Che serata scema!”.
E Jake la guardava ridere e scherzare e parlare ed era bella!
Quanto avrebbe voluto uscire con lei, essere uno di quegli amici con cui condividere tutte quelle situazioni.
Martine viene a sedere al suo tavolo, portando una porzione di patatine fritte.
“Che palle, stasera non c'è nessuno. Mi sto seccando qui. Come una pianta. AAAAAAAAAAAAHH!”
“Eh, lo vedo. Va beh, a volte capita.”
“Ehy, ho visto un film assurdo stanotte!”
“Che film?”
“Satantango”
“E che roba è?”
“Un film di 7 ore e mezzo. Roba da non crederci!”
“Oh Cristo!”
“Ah ah! Ero con un mio amico che chiamiamo tutti il Volgare, e lui diceva che erano tipo dieci anni che voleva vederselo, così ha chiamato un amico che ha portato del Rhum e ha tirato fuori una copia subbata, perché ovviamente il film ce lo siamo visti in russo con i sottotitoli. Un'esperienza indimenticabile!”
“Ci credo”
Alla radio passano Nothing Last forever, degli Echo and the Bunnymen.
E' strano, pensa Jake, è  la prima volta che la sento alla radio.
C'è il ritornello che fa “I want more than i could get”, che lo ha sempre colpito.
Tutte le volte che lo ascolta, pensa a come in effetti forse il suo problema principale sia quello.
Non riuscire ad accontentarsi mai di nulla, e al tempo stesso non fare assolutamente nulla di concreto per cambiare questo stato di cose.
Guarda Martine, per esempio.
Ha viaggiato tantissimo, e lo ha fatto trovandosi un lavoro per poterselo permettere. Ride e scherza con chiunque, senza nessuna preoccupazione.
Vorrebbe tanto essere così anche lui.
Rimprovera agli altri difetti che in fondo sono soprattutto suoi.
Martine si è alzata, sta spazzando a terra, fischiettando.
Dopo un po', quando ha finito, spegne la radio, spegne le luci.
“È ora di chiudere, baby” fa lei, sorridendo.
Allora escono fuori, Martine si volta solo un secondo.
“Sai, trovo che quando si spengono le luci, tutto diventa così malinconico.”
“Già” risponde Jake.
Poi chiude la porta a chiave, abbassa la saracinesca. Si salutano, e vanno via.

-Take me anywhere-


-testo di Rumigal-
-foto di Marìka Poulain-


La bottiglia in una mano, seduto a terra e la schiena appoggiata al letto.
"Sai, dovresti bere meno Tequila"
Morgan sorride ascoltando le parole fuoriuscire come una brezza estiva dalle labbra di Miki, una di quelle brezze che accarezzano la tua pelle quando fa caldo, troppo caldo.
Miki ha la testa appoggiata ad una spalla di Morgan. Gli prende la bottiglia e tira una lunga sorsata. Quando Miki beve della Tequila la sua faccia si raccoglie in una smorfia carinissima.
A Morgan piace tanto.

"Mi succede una cosa strana, di questi tempi."
Miki si volta verso Morgan, e gli accarezza una mano.
"Cosa?", chiede lei.
"Non riesco più a vedere cosa c'è in superficie."
"Che intendi?"
"E' come leggere una poesia, ed accorgersi solamente delle figure retoriche che la compongono. Ma la poesia dovrebbe essere più di mera tecnica, no? Eppure se mi guardo intorno, se guardo davanti a me non vedo più poesia."
"Dovremmo trovare un punto di incontro però su cosa intendi per superficie, sai? In fondo se ci pensi bene il senso di una poesia non è ciò che dovrebbe apparire in superficie."
"Sai cosa intendo."
"Credo di si. Bisogna vedere se lo sai anche tu."

Miki si alza e va verso il PC.
"Che canzone vuoi ascoltare? Abbiamo bisogno di una canzone."
Morgan ci pensa su.
"Can't stand me now"
"Eeeee....The Libertines sia."
Miki torna a sedersi. Morgan appoggia la sua testa sui suoi capelli profumati, chiude gli occhi mentre ascolta le note della canzone.
Una volta un suo amico, molto più grande di lui, gli disse che certe storie, certe canzoni, puoi capirle davvero solamente quando le hai vissute.

"Puoi credere di aver capito una canzone fino in fondo, ma in realtà non sarà mai cosi. Sai, dovresti sempre riascoltare le tue canzoni preferite quando ti succedono cose importanti."


Morgan ascolta questa canzone da sempre. E ha pensato di capirla cosi tante volte.
Prende un sorso di Tequila.
"Se perdi il senso generale delle cose, quello che ti resta è solo un insieme di puntini che non riesci a collegare", fa Morgan. "Il mio problema è questo adesso. Non riesco più a trovare effetti per cui valga la pena generare delle cause. Un immobilismo cosmico che riempie le mie giornate."
Miki sorride, le parole strascicate di Morgan. Ci vorrebbero più serate cosi, a bere Tequila in una stanza, a fumare e parlare. Dovrebbero avere tutti almeno una serata cosi, una volta al mese.
"Vorrei riuscire a leggere una poesia senza capirla. Ascoltare una canzone senza capirla, ma lasciare che mi faccia stare meglio."
Che poi ad essere onesti, il problema di Morgan, o di tutta questa generazione, è la difficoltà di trovare una posizione nel mondo.
Siamo nati in un'epoca che dicono essere di passaggio. Tra un picco e l'altro, siamo in una fase discendente. Le cose importanti succederanno quando saremo morti, stando a quanto dicono.
Come potresti vedere della poesia, Morgan, se il nostro futuro sembra essere questo?
Miki vorrebbe dire questo, ma è qualcosa che in fondo sanno già. Hanno già bevuto cosi tante bottiglie di Tequila, ascoltando cosi tante canzoni che credevano di conoscere.


CUT

di Rumigal

Di queste cose non ne parliamo mai perché come potremmo farlo?
Le conversazioni tra le persone dovrebbero permettere la comprensione reciproca, ma crescendo ci rendiamo conto che servono a distanziarci sempre più.
Spengo la televisione, le persiane sono aperte e la finestra si affaccia su tutto ciò che c'è fuori, mentre la lama affonda nella nostra pelle.
Non tanto.
Non esce sangue.
Per un attimo ho quasi paura di non averlo fatto bene.
Poi mi accoro che il taglio c'è stato. Leggero.
David Foster Wallace lo ha spiegato bene. Il suicidio non è una scelta. Se sei in un palazzo in fiamme, puoi scegliere se bruciare o gettarti di sotto. Non è proprio ciò che definiremmo una scelta.
Cosi anche preferire un taglio alla comunicazione verbale di cui tutti sono cosi ghiotti non è propriamente una scelta. Di questo ce ne rendiamo conto.
Paradossalmente, la motivazione per cui uno tende a provocarsi del dolore fisico è il bisogno di sentirsi vivo. Di capire se ciò che sta capitando intorno (vale a dire la quotidianità) c'è davvero. Anzi, è anche più di questo.
Crediamo sia qualcosa che abbia a fare con l'accertarsi della propria presenza. Sapete quando per esempio siete con qualcuno e dite una cosa e quello magari non vi risponde e voi gli chiedete se vi ha sentito e vi fa ah si certo e magari era distratto o non è stato abbastanza veloce da formulare una risposta?
Ebbene, tagliarsi è il nostro modo di dire Ehy hai capito cosa sta succedendo?
Perché la conversazione verbale è povera. Un milione di parole possono non bastare. Un taglio è decisamente più incisivo.
Cosi ce ne stiamo qui sul letto e sapete? E' piacevole quel formicolio che sentiamo intorno al taglio. Perché non è qualcosa di fisico. Se ti tagli per sbaglio non senti il formicolio per giorni. Invece se lo fai coscientemente si. Lo continui a sentire sempre e sempre e sempre, giorno e notte, giorno e notte, e ti guardi il braccio dove ti sei tagliato e continui a guardare quel taglio e pensi che per oggi ci sei ancora.
Quel taglio non è qualcosa di fisico. E' una linea di confine tra odio e amore e non possiamo sapere chi prevaricherà alla fine. Dobbiamo solo sperare di poterci arrivare.