Last Days of Summer

Last Days of Summer
foto di Marìka Poulain

martedì 25 marzo 2014

Le strade



-testo di Rumigal
-foto di Hold It!

Pagina Facebook di Hold it!


 Dopotutto, alcune strade sono fatte per essere percorse da soli. Sai, ogni passo è importante. Ogni sguardo lungo il sentiero, ogni respiro che non va sprecato. Parliamo di solitudini quando dovremmo parlare di esistenze.
Ricordo che una volta mi parlarono della grandezza del mondo come di una cosa di cui aver paura. Ma è una cosa di cui hanno paura solamente i deboli, i vigliacchi. Adesso guardo alla strada che ho davanti con rispetto. Con desiderio. Non ne ho più paura.
Allora cammino. Un passo alla volta. Pensate che io sappia dove sto andando. Ma non è cosi. Credevo di essere bravo a notare i particolari, ma invece ho scoperto che ciò che vedo sempre è il quadro generale.
Su quel giornale lessi questa frase, che faceva più o meno cosi.
"La libertà è poter prendere il mare senza avere nessuno che ti aspetti al ritorno, ne un luogo o qualcuno dove arrivare."
Ecco, sta tutto qui.
Questa è una cosa che non te la scegli. Sarebbe come chiedersi se esiste un destino in realtà.
Ma l'importante è non dimenticare mai e poi mai tutti i passi compiuti assieme. Ogni sguardo e ogni respiro. Sono tutti qui. Con me.
Siamo solo storie, alla fine, e questa è stata importante, e lo sarà sempre.
Il mondo è cosi grande che è impensabile credere di perdersi.


domenica 23 marzo 2014

Io scrivevo sempre in treno


-Testo di Rumigal
-Foto di Marìka Moretti



"I viaggi sono fatti per pensare. Forse è per questo che scrivevi sempre in treno." fa una ragazza qualche sedile più in la. Il treno sta per partire. Sul binario accanto al nostro c'è un grossa sacco dell'immondizia bucato.
La fotografia di questa scena è grigia, dona un'aria immobile al tutto, nonostante sia una stazione.
Appoggiato allo schienale, guardi con fare indifferente fuori dal finestrino. Il treno dovrebbe partire a breve, almeno credo.
E mi porterà a lavoro.
In quel cazzo di negozio di scarpe. Santo dio, ma perché ho accettato?
400 euro al mese per fare un lavoro di merda, di cui 100 se ne vanno per un abbonamento che mi permetta di prendere pessimi mezzi di trasporto. E poi devi mangiare. E devi bere. Che neanche ti bastano. Ah si, vero, almeno faccio curriculum. Per ottenere altri lavori di merda quando avrò perso questo, dove forse mi pagheranno un po di più. O più probabilmente di meno.
"Ricordo che quando viaggiavo scrivevo sempre. Poi ho smesso di viaggiare e ho iniziato a scrivere in altri modi. Il fatto è questo. Adottare il giusto punto di vista sulle cose. Se lo scopo è scrivere, puoi scrivere ovunque. Le cose sono sempre più semplici di quanto non le facciano apparire gli altri", fa la voce di un ragazzo.
Ma facile di cosa? Niente è mai facile a questo mondo. E la cosa tremenda è che si finisce per impegnarsi in cose di cui non ti frega nulla perché devi mangiare. La vita non è un romanzo in cui i personaggi non mangiano e non cagano mai e se lo fanno c'è un significato propedeutico all'avanzamento della trama o allegorico. No. Qui mangi per vivere cosi come quando caghi, senza che niente sia davvero importante. Quindi no, non è facile per niente.
"Si che lo è." fa il ragazzo alzandosi e venendo verso di me.
"Tranquillo.", mi fa, "non spaventarti. So che ti sembra strano, ma la verità è che il tono con cui hai detto le ultime cose è fin troppo esasperato. E sai perché?"
Lo guardo senza capire se è solo pazzo o cosa.
"Dai, dovresti averlo capito. Tu sei solo un personaggio nella mia testa. Come ogni cosa che vedi qui."
Si siede davanti a me. Ha un maglioncino grigio, semplice.
Sul finestrino c'è un insetto. C'era anche prima ma non lo avevo notato. Continua ad arrampicarsi per tutta la sua altezza. E quando arriva in cima, cade.
E' ovvio.
"Vuole uscire."
Continua a salire e sbattere sul vetro e ne percepisco tutta la brama di libertà.
"E' solo un insetto però. Si può parlare di brama? E' qualcosa che ha a che fare con la volontà dopotutto. E noi non siamo abituati a pensare alla volontà degli insetti. Che poi in fondo si tratta più di istinto che volontà in questo caso.
E quello stupido, minuscolo insetto continuerà a sbattere contro il vetro, fino a morire. Invece, te oltre all'istinto hai anche il dono della volontà, la stessa volontà che ha permesso all'umanità di plasmare un mondo intero a propria immagine e somiglianza."
Ma hai detto che sono uno dei tuoi personaggi. Quindi qui in realtà si sta parlando di te.
"Certo che si. In realtà io sto guardando questo stesso insetto su un altro treno, un treno vero. E ho intenzione di prenderlo e farlo uscire dal treno. L'altro. Quello vero."
E cosa vuoi da me?
"Niente. Solo dare importanza ad un piccolo insetto su un treno."

martedì 18 marzo 2014

-La strada dai Lampioni rotti-


         








    -Testo di Rumigal
                                                       
      -Tutte le foto sono di Marìka Poulain-
                                                             
       -Musica di Kenzo de la Vega



Nessuno in giro, a quest'ora, lungo la strada dai lampioni rotti. Andy ricomincia a camminare,
sorridendo, ancora affannato per essere arrivato sin li correndo come un pazzo, tra gli sguardi
incuriositi della gente, ma a lui non interessa più niente ormai, sa cosa deve fare.

Ricomincia a camminare, dopo aver ripreso un po di fiato,
 e il primo lampione si riaccende appena si muove. Non aveva mai capito perché quello stupido lampione si accendesse e spegnesse al
passaggio della gente, come fosse una sorta di segnale che qualcuno era li, e continua, sorridendo,
guardando davanti a se e vede quella strada riempirsi di immagini, di ricordi, come fosse un grande
palcoscenico.

Corre accanto al sorriso di Carrie sporco di gelato, sulla panchina dove si sedevano per guardare le
vetrine dei negozi e la gente passeggiare...Passa davanti a loro due che danzano al suono della
chitarra di un musicista di strada ed Andy, correndo, non si accorge della stanchezza che inizia a
raggiungerlo, le prime rughe che spuntano mentre ripensa a come tutto si sia rovinato cosi in fretta,
per un banale litigio, nonostante avessero giurato di amarsi in eterno.
Scaccia quei pensieri orrendi per qualche secondo, giusto il tempo di vedere nel cielo i fuochi
d'artificio nel cielo di quel giorno, quando andarono a vedere il Capodanno cinese in Piazza del
Popolo e si erano stancati, perché non finivano più, li guardavano esplodere tra le prime stelle della
sera. Ricorda la sera in cui era andato via, stanco di chissà cosa poi.
C'erano cosi tante cose che lo facevano arrabbiare, a quel tempo. E la cosa strana è che ci aveva
messo anni, per capire che nulla importava davvero.



La rabbia lo aveva dominato cosi a lungo che
aveva finito col perdere tutto. Aveva abbandonato sua madre colpevole di non averlo amato come
lui pensava di meritare. Aveva perso il suo lavoro. E aveva perso gli amici.
Corre per tornare da lei, lungo quel viale pieno di ricordi, mentre i suoi capelli si fanno bianchi,
come la neve che non arrivava mai in Città, e poi cadono, la stanchezza che aumenta mentre si
avvicina e pensa a come sia triste, in questa vita, sprecare cosi tanto tempo.
Perdere anche solo un giorno perché si è stupidi, perché si va di fretta e non si ha tempo di pensare,
o forse molto semplicemente non si vuole farlo, perché ti renderesti conto di quanti siano i tuoi
sbagli.
Andy corre sotto i lampioni che alternano luce e buio, e scaccia una lacrima, al ricordo di lei che
piange, e poi se ne va, trovando la sua felicità con qualcun altro.
Le cose vanno talmente in fretta, in questo mondo, ed ora che sta per arrivare da lei sente la sua
pelle ritirarsi, le sue ossa iniziano a far male, e rallenta un po' il passo, giusto un po, giusto quel
poco per permettere ad un vecchio come lui di prendere un po' di fiato.
Guarda davanti a se, sembra tutto cosi strano.
Riprende il cammino, e non ha la più pallida idea di cosa le dirà. Forse basterà, ammettere di aver
sbagliato? Sarà abbastanza?
Ma poi sente il suo cuore accelerare, mentre il suo passo rallenta. Si ferma, e guarda lontano, la
strada sembra cosi lunga, e lui ormai è diventato cosi vecchio.
Cade sulle ginocchia, si porta una mano al petto. Sta morendo, pensa, con un ghigno agrodolce nel
volto, scavato dal tempo.
Si è mosso troppo tardi. Ci si muove sempre troppo tardi. Ha sempre pensato che in punto di morte
si veda, o percepisca qualcosa. Che ci sia un Dio, o la Morte con la sua falce.
Invece, sembra non ci sia niente, alla fine.

Stelle



di Philgrim

Sono le 4 e la festa è finita, tocca tornarsene a casa. E' una notte come tante eppure nell'aria qualcosa è cambiato. Il nuovo anno ha portato nuova linfa. Alla radio passano "Asleep" degli Smiths, come se qualcuno sapesse esattamente di cosa ha bisogno Philgrim mentre la sua auto è l'unica cosa a muoversi nella Città.
La nebbia, immancabile compagna di questa valle, avvolge tutto con la sua patina.
Tutto è ovattato. I lampioni appaiono e svaniscono dopo pochi metri, i suoni esterni sembrano così distanti, indistinti. Pare di trovarsi su un altro mondo. Una realtà aliena, una di quelle robe che Phil ha sempre sognato da bambino. Un non luogo dove poter sognare di trovarsi altrove. Gli incroci si susseguono, identici, uno dopo l'altro. Il deserto. Nessuno è in giro e solo così questa Città sembra davvero appartenergli, riempiendosi delle immagini della sua mente, dei suoi ricordi.
Le persone incontrate, soprattutto quelle perdute, affollano i marciapiedi della sua vita. Un dettaglio lo coglie impreparato e lo sorprende.
Il semaforo è rosso.
Come può? Non dovrebbe esser inattivo a quest'ora? L'auto si ferma, scendono i giri del motore e Phil ha l'occasione per guardarsi in giro con più calma, di sentire davvero il momento presente. A sinistra la strada lo porterà a casa, nella quale non rimette piede da almeno una settimana. A destra si va verso il monte sulla cui cima sta l'antica abbazia. E' in un attimo che tutto avviene, stravolge i suoi piani per questa notte. Casa potrà attendere ancora per qualche ora.
Svolta a destra ed inizia a salire il monte diretto alla panoramica. Deserto anche qui.
Possibile lui sia l'unico ad aver bisogno di pace in una Città del genere?
Difficile crederci, ma è meglio così.
Più spazio per tutti i suoi sé. Per un po' resta in macchina, al caldo, a fissare gli oscuri contorni delle montagne sull'orizzonte. Della Città non c'è traccia, sepolta sotto una coperta di nebbia.
Lo spettacolo è surreale, ma in qualche modo rispecchia proprio lo stato d'animo in cui Philgrim si trova.C'è una quotidianità ormai stantia, così uguale a se stessa da risultare opaca e piatta proprio come questa nebbia dove vive. Poi le montagne, lontane, quasi indistinte nell'oscurità: i sogni di un ragazzo che ha dovuto piegare la testa alle necessità della vita, per poter andare avanti e non perdersi, ed ora non riesce più a distinguere chiaramente il sentiero sul quale si trova.Sopra tutto questo le stelle, limpide e fredde, tanto lontane quanto pungenti. I sogni di un bambino che non accetta la sconfitta e che continua a desiderare ardentemente come se non potesse altrimenti vivere. Forse la vita è un gioco a perdere, ma senza emozioni, senza la forza motrice dei sogni è come se tu non stessi neppure partecipando.
Come ha fatto Phil a finire così lontano da quello che era qualche anno fa? Qual è stato il primo masso a cedere e provocare la frana che l'ha sepolto? Troppi pensieri per una sola testa ed un solo cuore, ma la solitudine gli ha insegnato che questi due sono gli unici compagni di viaggio che non lo abbandoneranno mai.Improvvisamente una nota storta lo riporta indietro nel presente.Come può una radio che si definisce rock passare questa roba? Quanto diamine di potere hanno i soldi in questa società, rispetto a ciò che davvero conta?Infastidito Phil spegne tutto ed esce dall'auto.Il freddo lo colpisce al viso come lo schiaffo della persona amata. Fa male, ma non è crudele; è anzi necessario.Ci voleva. A lui piace il freddo.
Molti suoi amici non lo capiscono.
“E' una questione di percezione” è la risposta che gli piace dare. Così non è costretto a mentire, ma può benissimo tenersi la sua parte di verità tutta per sé.
“Immagina di stare in un posto caldo e vedrai che non sentirai più il freddo”.
Probabilmente è questa la percezione che intendono i suoi amici; niente di più lontano dalla sua realtà.
Percepire non è una questione di testa, ma di cuore. Rifugiarsi dentro se stessi per cercare quel calore di cui si ha bisogno. I ricordi e le speranze sono il fuoco più ardente a cui Phil possa attingere e lui lo fa in continuazione. Il pizzico del freddo gli ricorda che è ancora vivo, che c'è ancora molto da fare prima di arrendersi. Il calore interno gli dà la forza di resistere.
Nel frattempo impara a bastarsi. Gli piace molto quest'espressione, la sente sua. Era stata Benny a dirlo, una tipa conosciuta da poco, ma è come se conoscesse il significato di quelle parole da sempre. Ha preso coscienza di bastarsi da diverso tempo, pur mantenendo inalterata la ricerca di qualcuna che possa comprendere i suoi sguardi senza bisogno di parole.Una situazione di equilibrio precario; uno di quei labirinti in cui se smetti di muoverti poi ti sarà impossibile ricominciare.
Così, nel freddo della notte, si stende sul cofano perdendosi fra le sue stelle.

-Adolescenza-





-testo di Rumigal-
-Musica di Kenzo de la Vega-


Jake entra nella pizzeria, come tutti i lunedì.
Martine lo saluta col suo solito, splendido sorriso.
Ci sono pochissime persone. La radio è accesa.
Jake si siede, dopo aver preso un pezzo di margherita e una coca.
Jake è innamorato di Martine.
 Ma non una semplice cotta, no no, è amore puro, estremo.

Lei è una ragazza semplicemente meravigliosa. Ha dei capelli neri, corti, con una taglio strano, sempre denti bianchissimi anche quando ha appena mangiato. Per non parlare poi del modo che ha di sorridere, chiudendo leggermente gli occhi, dischiudendo quella bocca fantastica.
Ma la cosa che ha fatto davvero perdere la testa a Jake, è stato il suo essere così spigliata, solare. Scherza e ride sempre con lui, lo aveva fatto la prima volta, si era seduta al suo tavolo perché non c'era nessun altro nel locale ed aveva attaccato bottone, così, dal nulla.
E per Jake era così strano, perché tutte le persone che lui conosceva erano dei castrati del cazzo, incapaci di divertirsi genuinamente, o di essere tranquilli.

“Ma perché non ridete di più! Perché non andate in strada a ballare e fare casino tutta la notte!Ridete gente!”

                                                       Avrebbe voluto dirlo a tutti.

Ma non c'era verso che loro capissero, tutti chiusi nelle loro piccole e miserabili vite.
Invece Martine era diversa, era unica.
Quando parlava, qualunque cosa dicesse, era come ascoltare “First days of Spring” dei Noah and the Whale, ti veniva voglia di ascoltarla per ore e ore, iniziava piano, con il raccontarti di quello che aveva mangiato a pranzo e finiva con un esplosione di musica e racconti divertentissimi!
Dei suoi viaggi, dei suoi momenti di vita quotidiana e che a sentirli dalla sua bocca sembravano essere sempre incredibili.
“Ah ah, l'altra sera ero al bar con un amico e mentre stavamo bevendo una birra un tizio è arrivato e si è messo a sedere con noi e ci chiedeva se qui in Città c'era qualcosa da fare oltre a morire e ci ha detto di chiamarsi Diego, solo che io lo chiamavo Dario senza motivo e sono arrivate due sue amiche che sentendomi chiamarlo così pensavano di aver dimenticato il suo nome e siamo andati avanti così per parecchio, tipo tutta la sera a bere e fare i cretini e scambiarci i nomi. Che serata scema!”.
E Jake la guardava ridere e scherzare e parlare ed era bella!
Quanto avrebbe voluto uscire con lei, essere uno di quegli amici con cui condividere tutte quelle situazioni.
Martine viene a sedere al suo tavolo, portando una porzione di patatine fritte.
“Che palle, stasera non c'è nessuno. Mi sto seccando qui. Come una pianta. AAAAAAAAAAAAHH!”
“Eh, lo vedo. Va beh, a volte capita.”
“Ehy, ho visto un film assurdo stanotte!”
“Che film?”
“Satantango”
“E che roba è?”
“Un film di 7 ore e mezzo. Roba da non crederci!”
“Oh Cristo!”
“Ah ah! Ero con un mio amico che chiamiamo tutti il Volgare, e lui diceva che erano tipo dieci anni che voleva vederselo, così ha chiamato un amico che ha portato del Rhum e ha tirato fuori una copia subbata, perché ovviamente il film ce lo siamo visti in russo con i sottotitoli. Un'esperienza indimenticabile!”
“Ci credo”
Alla radio passano Nothing Last forever, degli Echo and the Bunnymen.
E' strano, pensa Jake, è  la prima volta che la sento alla radio.
C'è il ritornello che fa “I want more than i could get”, che lo ha sempre colpito.
Tutte le volte che lo ascolta, pensa a come in effetti forse il suo problema principale sia quello.
Non riuscire ad accontentarsi mai di nulla, e al tempo stesso non fare assolutamente nulla di concreto per cambiare questo stato di cose.
Guarda Martine, per esempio.
Ha viaggiato tantissimo, e lo ha fatto trovandosi un lavoro per poterselo permettere. Ride e scherza con chiunque, senza nessuna preoccupazione.
Vorrebbe tanto essere così anche lui.
Rimprovera agli altri difetti che in fondo sono soprattutto suoi.
Martine si è alzata, sta spazzando a terra, fischiettando.
Dopo un po', quando ha finito, spegne la radio, spegne le luci.
“È ora di chiudere, baby” fa lei, sorridendo.
Allora escono fuori, Martine si volta solo un secondo.
“Sai, trovo che quando si spengono le luci, tutto diventa così malinconico.”
“Già” risponde Jake.
Poi chiude la porta a chiave, abbassa la saracinesca. Si salutano, e vanno via.

-Take me anywhere-


-testo di Rumigal-
-foto di Marìka Poulain-


La bottiglia in una mano, seduto a terra e la schiena appoggiata al letto.
"Sai, dovresti bere meno Tequila"
Morgan sorride ascoltando le parole fuoriuscire come una brezza estiva dalle labbra di Miki, una di quelle brezze che accarezzano la tua pelle quando fa caldo, troppo caldo.
Miki ha la testa appoggiata ad una spalla di Morgan. Gli prende la bottiglia e tira una lunga sorsata. Quando Miki beve della Tequila la sua faccia si raccoglie in una smorfia carinissima.
A Morgan piace tanto.

"Mi succede una cosa strana, di questi tempi."
Miki si volta verso Morgan, e gli accarezza una mano.
"Cosa?", chiede lei.
"Non riesco più a vedere cosa c'è in superficie."
"Che intendi?"
"E' come leggere una poesia, ed accorgersi solamente delle figure retoriche che la compongono. Ma la poesia dovrebbe essere più di mera tecnica, no? Eppure se mi guardo intorno, se guardo davanti a me non vedo più poesia."
"Dovremmo trovare un punto di incontro però su cosa intendi per superficie, sai? In fondo se ci pensi bene il senso di una poesia non è ciò che dovrebbe apparire in superficie."
"Sai cosa intendo."
"Credo di si. Bisogna vedere se lo sai anche tu."

Miki si alza e va verso il PC.
"Che canzone vuoi ascoltare? Abbiamo bisogno di una canzone."
Morgan ci pensa su.
"Can't stand me now"
"Eeeee....The Libertines sia."
Miki torna a sedersi. Morgan appoggia la sua testa sui suoi capelli profumati, chiude gli occhi mentre ascolta le note della canzone.
Una volta un suo amico, molto più grande di lui, gli disse che certe storie, certe canzoni, puoi capirle davvero solamente quando le hai vissute.

"Puoi credere di aver capito una canzone fino in fondo, ma in realtà non sarà mai cosi. Sai, dovresti sempre riascoltare le tue canzoni preferite quando ti succedono cose importanti."


Morgan ascolta questa canzone da sempre. E ha pensato di capirla cosi tante volte.
Prende un sorso di Tequila.
"Se perdi il senso generale delle cose, quello che ti resta è solo un insieme di puntini che non riesci a collegare", fa Morgan. "Il mio problema è questo adesso. Non riesco più a trovare effetti per cui valga la pena generare delle cause. Un immobilismo cosmico che riempie le mie giornate."
Miki sorride, le parole strascicate di Morgan. Ci vorrebbero più serate cosi, a bere Tequila in una stanza, a fumare e parlare. Dovrebbero avere tutti almeno una serata cosi, una volta al mese.
"Vorrei riuscire a leggere una poesia senza capirla. Ascoltare una canzone senza capirla, ma lasciare che mi faccia stare meglio."
Che poi ad essere onesti, il problema di Morgan, o di tutta questa generazione, è la difficoltà di trovare una posizione nel mondo.
Siamo nati in un'epoca che dicono essere di passaggio. Tra un picco e l'altro, siamo in una fase discendente. Le cose importanti succederanno quando saremo morti, stando a quanto dicono.
Come potresti vedere della poesia, Morgan, se il nostro futuro sembra essere questo?
Miki vorrebbe dire questo, ma è qualcosa che in fondo sanno già. Hanno già bevuto cosi tante bottiglie di Tequila, ascoltando cosi tante canzoni che credevano di conoscere.


CUT

di Rumigal

Di queste cose non ne parliamo mai perché come potremmo farlo?
Le conversazioni tra le persone dovrebbero permettere la comprensione reciproca, ma crescendo ci rendiamo conto che servono a distanziarci sempre più.
Spengo la televisione, le persiane sono aperte e la finestra si affaccia su tutto ciò che c'è fuori, mentre la lama affonda nella nostra pelle.
Non tanto.
Non esce sangue.
Per un attimo ho quasi paura di non averlo fatto bene.
Poi mi accoro che il taglio c'è stato. Leggero.
David Foster Wallace lo ha spiegato bene. Il suicidio non è una scelta. Se sei in un palazzo in fiamme, puoi scegliere se bruciare o gettarti di sotto. Non è proprio ciò che definiremmo una scelta.
Cosi anche preferire un taglio alla comunicazione verbale di cui tutti sono cosi ghiotti non è propriamente una scelta. Di questo ce ne rendiamo conto.
Paradossalmente, la motivazione per cui uno tende a provocarsi del dolore fisico è il bisogno di sentirsi vivo. Di capire se ciò che sta capitando intorno (vale a dire la quotidianità) c'è davvero. Anzi, è anche più di questo.
Crediamo sia qualcosa che abbia a fare con l'accertarsi della propria presenza. Sapete quando per esempio siete con qualcuno e dite una cosa e quello magari non vi risponde e voi gli chiedete se vi ha sentito e vi fa ah si certo e magari era distratto o non è stato abbastanza veloce da formulare una risposta?
Ebbene, tagliarsi è il nostro modo di dire Ehy hai capito cosa sta succedendo?
Perché la conversazione verbale è povera. Un milione di parole possono non bastare. Un taglio è decisamente più incisivo.
Cosi ce ne stiamo qui sul letto e sapete? E' piacevole quel formicolio che sentiamo intorno al taglio. Perché non è qualcosa di fisico. Se ti tagli per sbaglio non senti il formicolio per giorni. Invece se lo fai coscientemente si. Lo continui a sentire sempre e sempre e sempre, giorno e notte, giorno e notte, e ti guardi il braccio dove ti sei tagliato e continui a guardare quel taglio e pensi che per oggi ci sei ancora.
Quel taglio non è qualcosa di fisico. E' una linea di confine tra odio e amore e non possiamo sapere chi prevaricherà alla fine. Dobbiamo solo sperare di poterci arrivare.