Last Days of Summer

Last Days of Summer
foto di Marìka Poulain

giovedì 17 aprile 2014

"Le cose che vediamo"


-One Fine Day-

-testo di Rumigal
-"Mind the Gap", Alice in the Cruel Sea



La custodia con dentro il sax se ne sta sotto il letto, invisibile. Ma Morgan lo sa che è li. Non lo suona da parecchio.
Immaginiamo sempre che sia facile riporre alcune cose sotto un letto. Ciò che non vedi non può diventare importante.
Si alza e prende una birra da dentro il frigo. Jack gli ha mandato un messaggio poco fa, dicendo che stasera al Groove suonano gli "Alice in the Cruel Sea". Li ha già sentiti qualche tempo fa. Potrebbe essere la musica adatta per questa serata.




Va verso la finestra della sua camera. Guarda la Città che sotto di lui scorre velocemente nei passi delle persone indaffarate, nelle macchine che si muovono e che da quell'altezza sembrano le micro-machine con cui giocava quando era bambino.
Il campanello suona.
Apre la porta
"Ciao, Morgan", fa Emily, la signora dell'appartamento accanto al suo. Morgan osserva i suoi lunghi capelli bianchi e lisci, stretti in una lunga treccia, la pelle ancora molto liscia per la sua età.
"Ho fatto la pasta al forno che ti piace tanto. Ti va di venire a pranzo da noi?"
"Emily, sai bene che non rifiuto mai un tuo invito."

Poggia la tazza di thè sul tavolo di legno, posto in mezzo ad un salotto che ogni volta fa sorridere Morgan.
Puoi leggere una storia, li dentro. Una storia fatta di viaggi e che parla del mondo intero.
Emily e suo marito infatti hanno viaggiato ovunque. Non c'è posto di questo mondo dove non siano stati, e ogni volta si sono portati dietro qualcosa.
Morgan pensa sempre che da vecchio, guardandosi indietro, spera di poter vedere qualcosa del genere. Un passato di cui essere orgoglioso e che lo renda felice.
Emily sorride sempre. Seduta con le ginocchia sul puffo verde smeraldo che ben si sposa con il marrone scuro del legno, gli occhi leggermente socchiusi. Morgan la guarda e avverte la strana sensazione di pace che questa donna è capace di emanare.
"Arthur è andato a fare un giro, cosi da comprare anche l'acqua. Siamo rimasti senza acqua in casa e non ce ne siamo neanche accorti!", fa lei.
La grossa finestra che si affaccia sulla strada è colma di fiori. Colori resi ancor più vivi dalla luce del sole che li colpisce.
Dopo qualche minuto, sentono la porta aprirsi. Morgan si volta, e vede Arthur. Alto, anche lui con dei capelli bianchi che sembrano nuvole. Pizzetto e baffi ben curati, magro. E anche lui che emana quella strana sensazione di pace in grado di calmarti all'istante.
"Ah, sapevo che ti avrei trovato qui, Morgan! Guarda cosa ti ho comprato!".
Tira fuori una bottiglia di whisky "Black Crow". 
"Aaah, ma andiamo! Avresti potuto comprare un whisky decente!", dice Emily alzandosi e andando verso la cucina.
"Donna, tu non capisci! Le tradizioni sono importanti! Vero, Morgan?"
Quando qualche anno fa si erano trasferiti qui, e ancora non conoscevano nessuno nel palazzo, Morgan fu il primo con cui iniziarono a scambiare qualche parola. Essendo vicini di casa, era inevitabile che finissero per incontrarsi sul pianerottolo, e salutarsi. Cosi, una sera che Emily era uscita per andare a teatro, quando ancora c'era un teatro in Città, Arthur aveva bussato alla porta di Morgan e lo aveva invitato a cena. Quando Emily era tornata, diverse ore dopo, li aveva trovati stesi entrambi sul divano a ridere, ubriachi, e con un forte odore di erba che riempiva la casa. E a terra, accanto a loro, una bottiglia ormai vuota di "Black Crow".
"Assolutamente si!", gli risponde lui, alzandosi e abbracciandolo.

Morgan ha una vera e propria venerazione per la cucina di Emily. Sarà che avendo vissuto ovunque, ogni suo piatto è pieno delle influenze di terre lontane e almeno in questo caso, Morgan pensa che in fondo le tradizioni non siano importanti, se mescolandole escono fuori pietanze come questa.
"Sei già stato alla Galleria, da quando ha riaperto?" fa Arthur, mentre beve un bicchiere di vino.
"Si, ci sono stato l'altro giorno con Miki. Hanno fatto davvero un buon lavoro. Che poi io non ci ero neanche mai stato, prima che chiudesse per i lavori."
"A me non piace molto. Troppo bianco in quel posto." fa lui, riferendosi alle tonalità bianche che riempiono ogni centimetro della "Galerie des Nuits Blanches", escluso le tonalità azzurre che alleggeriscono il tutto, in alcuni punti.
"Ma sai bene che Madame de la Croix non avrebbe mai permesso un'altra combinazione. Se provassero a cambiare qualcosa, sarebbe capace di tornare in vita per far ritinteggiare le pareti." fa Emily ridendo. In effetti lei il vino lo regge molto meno che Arthur. Le bastano pochi bicchieri per diventare rossa come un pomodoro.
"I morti non comandano."
"Oh, Madame de la Croix si."
Emily si alza e va in cucina, lasciando "i due maschi di casa", come li chiama lei, da soli. Arthur si accende una sigaretta e ne offre una a Morgan.
Rimane un po in silenzio, il suo sguardo che vaga lontano, sorride a qualcosa, un ricordo forse.
"Che mi dici, Morgan? Raccontami qualcosa."
"Non ho molto da dire. Non succede granché da queste parti ultimamente."
"Ah, che dici! Sei giovane, dovresti sempre avere qualcosa da fare."
"E cosa? Alla fine per quanto grande, questa Città sembra immersa uno strano torpore. E tutti quelli che conosco non hanno mai voglia di fare niente."
"Beh, se tutti ragionate cosi, ci credo che questa Città sia cosi morta, sai? Basterebbe che qualcuno si inventasse qualcosa per passare il tempo, in fondo. E poi davvero, non sottovalutare il fatto che sei giovane."
Ma il problema è che Morgan è giovane solamente in rapporto ad Arthur. In rapporto a se stesso, Morgan sembra non avere un'età ben definita.
Si è reso conto di questo qualche settimana fa. Per un motivo stupido in realtà, ma che lo ha fatto pensare. Aveva trovato un paio di scarpe di suo padre, in un vecchio scatolone. Aveva provato ad indossarle e gli erano piaciute.
Però non aveva avuto il coraggio di andarci in giro. Guardandosi allo specchio aveva avuto problemi a riconoscersi. L'immagine di se non era più quella che aveva in mente. Guardava il Morgan allo specchio, e sembrava un bambino che gioca a fare l'adulto, che indossa scarpe da adulto.
"Tu a 25 anni dov'eri, Arthur?"
"Io? Ah!" fa lui, accarezzandosi il pizzetto.
Emily torna dalla cucina, preceduta dal profumo di mela e zucchero. "Guarda cosa ti ho preparato, Morgan!", dice sorridendo. Sul vassoio c'è una Tarte Tatin, il dolce preferito da Morgan.
"Oh, Emily. Se solo fossi più giovane!"
"Ah ah, per me l'età non è un problema, eh!" risponde lei.
"Emily, dov'eravamo io e te, a 25 anni?" chiede Arthur, sorridendo.
"Oh, mi avevi già mollata, a 25 anni. Non so dove fossi tu. Io ero qui. Ad occuparmi di mia madre."
"Ah, si! Io invece ero... ero in Germania!"
Morgan prende un pezzo della Tarte Tatin, e la inonda di gelato alla vaniglia, che si scioglie immediatamente al contatto con il calore delle mele e dello zucchero.
"Si, ero in Germania, mi ero trasferito li per lavorare nella fabbrica di mio zio, sarei dovuto restare due mesi e alla fine ci rimasi per quasi un anno. Era bello, stare li, sai, Morgan? Ero già stato all'estero, avevo già passato qualche mese fuori casa. Ma si trattava sempre di cose relative all'università. Quella invece fu la prima volta in cui ero davvero fuori casa, sai? Ero da solo, era come trovarsi sul ciglio di un burrone senza protezione. Sbagliare a quel punto voleva dire cadere. Ed è questo che dovrebbero fare i giovani, dovrebbero farlo tutti."
"Non cadere?"
"Ah ah, si. Non cadere. Ti sembrerà una stupidata, ma non scherzo. Quando prendi le decisioni, se hai qualcosa a cui aggrapparti, qualcosa che anzi possa attutire l'eventuale caduta, ti senti protetto. Ed è un bene, per carità. Ma quelle decisioni non ti insegnano nulla. Quando invece affronti la vita da solo, senza avere nessuno da ringraziare o da incolpare, beh, quelle sono le vere decisioni che portano cambiamenti. Diventi forte, ti formi. Ed è l'unico modo che conosco perché si possa vivere una vita che si possa definire propria."
Morgan finisce di mangiare il suo dolce senza rispondere. Non avrebbe niente da rispondere, dopotutto. Perché lui era d'accordo, era assolutamente d'accordo. La cosa che avrebbe tanto voluto dire ad Arthur, che avrebbe voluto dire a tutti quelli che gli parlavano di queste cose, era che il suo problema non era la decisione. Era il non avere una meta.
Ne parla spesso soprattutto con Jhonny di questo. Quando provano a guardare davanti, quando stanno di fronte alla Strada che non porta a nulla. Quando provano a pensare al futuro. Non vedono niente.
"Emily, ti giuro che questa è la miglior Tarte Tatin della storia." fa lui, prendendone un altro pezzo.
"Puoi dirlo forte!"




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